Il caso Cucchi e l’etica della non responsabilità

Stefano Cucchi non era il ragazzo modello della porta accanto e nemmeno il bravo figlio di famiglia. All’epoca del suo omicidio, che ha ormai il sapore di omicidio di stato, era consumato dalla droga. era uno spacciatore. Non era un bravo ragazzo. Era di quei ragazzi che si perdono da qualche parte ad un certo punto della loro vita. Era magrissimo al limite dell’anoressia. Era giusto fermarlo, obbligarlo ad assumersi le sue responsabilità. Rinviarlo a giudizio. Curarlo forse, ma mandarlo in prigione. Ma ciò che è accaduto quella sera presso la caserma più tristemente famosa in questi giorni in Italia, non è solo la tristezza di un giovane ucciso a calci e pugni e a cui è negata l’assistenza medica ( cosa che di per sè è già ripugnante, giacchè sono stati dei tutori dell’ordine a ridurlo così, come  vediamo nelle foto shock su tutti i media ), ma l’ eterna storia della lotta tra bene e male, tra l’ordine e la responsabilità morale, tra la gerarchia, lo spirito di corpo e la morale individuale.

Tre carabinieri indagati al momento, ma ciò che turba è la manipolazione della verità, le omissioni colpevoli, i verbali ad hoc redatti da chi ha eseguito gli ordini impartiti da una persona gerarchicamente superiore. Il processo di Norimberga ( mi si passi il paragone di certo paradossale , ma calzante ) è pieno di verbali di ufficiali che commisero le peggiori atrocità con la  giustificazione di aver solo eseguito un ordine. Chi fa parte di un’arma, chi è abituato al rispetto e alla disciplina non può ribellarsi al superiore.

Ma fino a che punto è giustificabile nelle forze dell’ ordine l’uso della violenza per far rispettare la legge, o per difendere la propria vita?  Fino al punto in cui la propria morale non si ribella alla legge manipolata da chi quella legge deve rappresentarla?  Può essere questo il discrimine?

Stefano Cucchi è stato ucciso di botte: mascella rotta, vescica tumefatta, costole rotte. Cucchi un mucchietto di ossa di meno di 40 KG in balia di chi rappresenta la legge. Il rispetto dell’altro, sia esso un tossico, una prostituta, un senzatetto non può mai venir meno e quando ciò accade bisogna assumersi la responsabilità. Coprire per anni questo omicidio, accusando la lotta disperata della sorella di Stefano, gettando fango sulla famiglia, è l’unico modo per disonorare la giustizia. Si, perchè di giustizia si tratta. e non di Legge, davanti alla quale, come Kafka ci ricorda, si resta in attesa, inutilmente.

L’esercizio della violenza da parte di chi rappresenta la legge degli uomini comporta che debba maneggiarla con circospezione e non servirsene come uno scudo. Stefano Cucchi non era un il bravo ragazzo della porta accanto. Ma meritava la sua giustizia, quella che sua sorella, come novella Antigone, nella lotta tra la legge di natura, l’amore per suo fratello, il suo senso di giustizia e la sordità della legge di stato, ha cercato per anni, per dargli una più degna e meno disonesta sepoltura.

Matilde Iaccarino

Nasce a Pozzuoli (Na), è giornalista, saggista e scrittrice. Insegna letteratura al liceo. Appassionata di letteratura ed è impegnata da molti anni nella ricerca storica.

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