il giro largo

tratto da Alla Finestra ( Volturnia Edizioni )

Il giro largo

Di Matilde Iaccarino

“Rimettimi sulla terra, e preferirei essere uno schiavo nella casa di qualche uomo senza terra… che re di tutti questi uomini che con la vita hanno chiuso.” – Odissea

Cap. 1

Le scale della palazzina di fronte al porto avevano l’odore forte del pesce lasciato a macerare per giorni. Si faceva fatica a respirare. Benedetta stava seduta a gambe incrociate sotto alle scale, in un angolino buio, sporco di terra e polvere.

Se ne era uscita quieta quieta  socchiudendo la porta e si era rifugiata lì con quel libro nascosto sotto la gonna a pieghe con i fiorellini azzurri. 

Era un libro con la copertina marrone e le lettere dorate, le pagine avevano quell’odore di vecchie cantine, di librerie in stanze chiuse. Benedetta annusava le pagine, le toccava con le dita piccole e affusolate. Aveva finito la quinta elementare ma aveva frequentato poco: la guerra, la fame, i bombardamenti le avevano tolto il piacere di stare seduta su quei banchi di legno. Le mancavano perfino le bacchettate sulle mani di suor Angelica che s’era fatta monaca a 15 anni ed era una vecchia ragazza con gli occhi di ghiaccio. Tutti la temevano, ma Benedetta no, la guardava negli occhi, senza sfida, cosi’,le veniva naturale. Cercava di navigare in quello sguardo, di leggerci una storia che valesse la pena di raccontare.

Benedetta le persone le divideva in due: quelle del giro largo e quelle del giro piccolo. Persone che nella vita avevano fatto tanti giri per tornare a casa e altre che avevano girato sempre attorno al proprio asse: la casa, il porto, la piazza.

A lei sembrava di far parte delle persone del giro piccolo, piccolissimo.

Quel libro che teneva tra le mani era L’ Odissea in una antica edizione di inizio Novecento.

 Glielo aveva regalato Giacomo Sapia il giovane farmacista del paese. Aveva una biblioteca vastissima e quando Benedetta l’aveva scoperto, portando a sua moglie le tende che sua madre aveva lavato e stirato, era rimasta sorpresa. Dietro al bancone della farmacia , dietro agli scaffali di erbe contenuti in boccacci di ceramica c’era una porticina. Lì dentro c’era lo studio di Giacomo con due librerie alte fino al soffitto, una scrivania con un piccolo secretaire intagliato e due leggii. “ A che vi serve dottore? “ aveva chiesto Benedetta. “ a leggere in due “ aveva risposti lui . “ e come si legge in due, uno poi non si confonde? “ Lui aveva riso con i suoi denti bianchi e gli occhi belli. L’aveva accarezzata e le aveva dato un libro. Senza sceglierlo, cosi.

E ogni settimana , di nascosto, andava lì all’ora di chiusura il pomeriggio. Si sedeva alla scrivania mentre Giacomo le accarezzava la nuca o le faceva i nodi con le dita nei capelli.  Benedetta era sveglia, sapeva già le cose che ci sono da sapere. Le piaceva moltissimo andare lì in quel posto segreto, le piacevano le carezze di Giacomo, lo guardava sempre fisso negli occhi e ogni tanto gli sorrideva.

Un pomeriggio Giacomo l ‘aveva aspettata davanti al bancone col suo camice bianco stirato . si erano guardati negli occhi, poi lui aveva distolto lo sguardo e le aveva fatto strada nello studio.

Le mise in mano l’ Odissea e le disse “ era di mio nonno” . “ Vuol dire che ci tieni a darmelo o che ci tieni a me? “ aveva detto Benedetta, guardandolo dritto negli occhi. “ Vuol dire che lo prendi e basta e che non puoi venire più”.

Fu l’ultima volta che Giacomo Sapia le accarezzò la nuca e poi il viso e a Benedetta parve si fosse bloccato davanti alla sua bocca, i suoi occhi verdi avevano avuto una luce improvvisa. Aveva sgranato gli occhi, poi era rimasto fermo come una statua. Lasciò sul corpo il braccio,come un peso morto quasi insopportabile.  Fu l’ultima volta che benedetta sognò di amare  Giacomo Sapia.

Non se ne vergognò, non pianse perchè non poteva più vederlo, non si chiese perché, tanto aveva capito e se ne corse a casa con l’Odissea tra le braccia.

Nei mesi successivi Benedetta ricominciò a  leggere tantissimo, per lo più di notte seduta a terra perchè di giorno doveva aiutare sua madre. La madre lavava e lei stirava.

Libera Rinaldi aveva 30 anni, era la madre di Benedetta e a sua figlia sembrava non molto altro. Faceva piccoli lavoretti in casa per aiutare Salvatore che andava a pesca sulle cianciole ma non era riuscito a farsi padrone, aveva 40 anni e sembrava già vecchio.

perché leggi di notte al buio? “ le disse un giorno mentre Benedetta se ne stava affacciata alla finestra a guardare il mare e si annoiava come sempre. “ perche di giorno ho da fare e non so dove mettermi, davanti a te mi dà fastidio”.

Libera aveva riso, si era chiusa il vestito da casa che si apriva sempre sul suo seno bellissimo. Dal reggiseno bianco tirò fuori un piccolo fazzoletto, lo aprì piano piano, lasciò che le scivolassero dalle mani due sigarette. Ne accese una, Benedetta non aveva mai visto fumare sua madre e comprese subito che suo padre  non l’ aveva mai saputo.  Libera si sciolse i capelli e diede boccate profonde, guardò la figlia e le tese la sigaretta. Benedetta sorrise e fumò insieme a sua madre.

Andò in stanza e prese il vecchio libro dell’ Odissea e cominciò a leggere qualche verso e poi a raccontarle la storia di Ulisse, intrecciando personaggi e rotte.

Divenne l’appuntamento di ogni pomeriggio insieme alla sigaretta.

Ma sto Ulisse poi a casa ci torna? “Si, ma’ ci vuole tornare “. Mah per me non è vero per niente. “Ma’ ma vuoi sapere chi me lo ha dato il libro?”

 Libera girò un po’ la testa verso la finestra l’unica che dava sul mare. Stette un po’ zitta, ascoltarono le voci che provenivano dal porto, e poi disse senza guardarla “ non serve a nessuno saperlo, basta che lo sai tu “.

A volte Benedetta si inventava storie e personaggi. L’ Odissea diventava sua, prendeva vita propria e lei era Calipso o Circe e a volte Ulisse aveva l’odore del crema da barba di Giacomo Sapia. E i giri della vita diventavano larghi, grandi, grandissimi come le rotte di carte geografiche appese alle pareti della classe di Suor Angelica nell’immensa edificio Carlo Rosini dove Libera aveva insistito per mandarla a scuola.

Le aule erano immense, i corridoi di più con piastrelle rosso amaranto e beige a cui il tempo aveva regalato più fascino e più splendore. Benedetta si fermava davanti al corridoio su cui davano le 10 classi di scuola elementare , impalata lì e restava rapita dalla scuola senza fine, così le sembrava. Poi avanzava lenta per raggiungere la sua classe, un piede dopo l’altro si quelle piastrelle di diverso colore , un giorno camminava solo sulle rosse, un altro solo sulle beige.

A queste cose e a molte altre pensava Benedetta seduta sotto alle scale con il libro sulle ginocchia. La copertina marrone e oro si era fatta una scorza di cartone e s’era sfilacciata tutta a furia di tenerla tra le mani. Si guardò i piedi scalzi, piccoli e veloci. Fu l’unica volta in cui si chiese una cosa che non s’era mai chiesta. Si chiese se a sua madre voleva bene, se gliene aveva mai voluto. Considerando i fatti come si erano svolti, avrebbe forse dovuto chiedersi il contrario, se Libera avesse mai voluto bene a quella figlia con la quale aveva fumato, riso qualche volta, ma alla quale era stata tenacemente ostile.  Benedetta sapeva che se fosse uscita da quel nascondiglio di puzza e buio, fuori avrebbe dovuto affrontare suo padre, la nonna, la gente del paese e le occhiate oblique che lei conosceva bene erano il sigillo dei perdenti, dei giudicati.

Le mani sudavano sulla copertina del libro. Si accorse che tremava e respirava corto. E si decise. Aprì il libro e cominciò a leggere a bassa voce con le labbra che appena si muovevano, i versi che leggeva sempre con sua madre, spiegandoli e interpretandoli come le pareva, a seconda dell’umore o della giornata. Leggeva e intanto le gambe diventavano più leggere, scorreva col dito le righe un po’ ingrigite e il cuore si faceva leggero. Libera era andata via, una mattina. Non era più rientrata. Aveva lasciato tende da stirare, vestiti buoni, anche le scarpe. Era volata via.  Benedetta sapeva che non sarebbe più tornata e non si chiese perché avesse lasciato tutto, perché avesse lasciato lei. E decise che sarebbe andata via anche lei. Prima o poi. Perché, concluse, nella sua testa, i giri sai come cominciano, ma non sai mai come finiscono e lei , assurdamente si sentiva parte di quel giro che era iniziato dalle braccia di Libera che l’aveva lasciata e ora, forse, in qualche oscura parte della vita, l’aspettava. Forse.

Cap.2____________________________________________________________________

“ Sposami. Non ci vuole niente, ho un po’ di soldi da parte, andiamo a letto subito se vuoi, ma sposami “.  Benedetta glielo aveva detto cosi, guardandolo in faccia senza alcuna emozione, senza amore né rabbia. Ciro Azzaro si era attaccato al muro della chiesa di Santa Maria quella domenica di agosto mentre la processione della Madonna aveva invaso le strade. C’era tanta gente, bambini con il gelato al limone di Toscano, le donne con i cappelli, Don Mario che pregava a voce alta. “ Come hai detto Benedetta ? non ho capito bene “, aveva teso l’ orecchio e si era avvicinato a lei. Lei gli aveva urlato all’orecchio e gli aveva dato un bacio in bocca ridendo. “E che mi dai in cambio se ti sposo?” Benedetta ridendo si era aperta due bottoni della camicia, gli aveva preso la mano e messa tra i suoi seni grandi, bianchi, caldi, proprio in mezzo. “ il mio cuore, cosa se no “.   Ciro Azzaro rise, rise con gli occhi blu, con la sua voce forte, rise che non la smetteva più e tutti guardavano lui e Benedetta. Benedetta la figlia di Libera, quella Libera, e Ciro il ragazzo più bello del paese.

Il libro restò chiuso nella cassapanca con le lenzuola di lino e la coperta ricamata ecrù che era appartenuta a Libera. Quando Benedetta era andata via non l’aveva portato con sé. Ciro chiese a  una zia di Teano dove si era rifugiato per la vergogna d’essere stato lasciato 2 mesi dopo il matrimonio  di tenersi tutto il cascione di Benedetta. “ ma non stai arrabbiato ?  Non ti capisco a zi “ Ciro seduto sulla sedia di cucina con i gomiti poggiati sulle ginocchia fece un sorriso triste “più che altro è lo scuorno, ma lo sapevo che se ne andava. Oggi, domani, tra un anno. Lo sapevo dal primo momento “ “ e perché te la sei presa a zi se lo sapevi già? “ Ciro aveva solo 25 anni ed era bello da far fermare gli orologi. “ perché mi ha fatto ridere assai quando me lo ha chiesto e mi ha baciato davanti a tutti “. Zia Maria scosse la testa  e cominciò ad aprire il cascione.  “ Io e Benedetta abbiamo fatto l’amore sempre, ogni giorno, era la cosa che ci piaceva di più fare assieme” disse Ciro. “Ma mica serve questo ?  “ replico alzando la voce Zia Maria. “ A volte penso di sì, che può bastare per volersi bene “ disse Ciro.

Zia Maria scosse la testa e soppesò la dote, le lenzuola, le coperte,  vide che erano belle e che valeva la pena tenerle. Da un lenzuolino di lino per neonati scivolò un libro. Non aveva più la copertina, ma solo le pagine interne. “ Ciro e che è sta roba? “ Ciro stava guardando la sottile rete  di un piccolo ragno che brillava nel sole sulla piccola finestra della cucina, un filo di seta, un ragnetto veloce e ballerino. Sorrise e senza voltarsi disse “ E’ L’Odissea di Benedetta “.  “ E questo non ci serve” lo mise nel sacco nero insieme all’immondizia. “ Portalo fuori che passano a prenderlo “.

Cap.3 __________________________________________________________________

Buongiorno maestra, entri, chiuda la porta “. La maestra si sedette sull’orlo della sedia davanti al preside, un uomo con grandi baffi grigi e un tono severo. “Quest’anno vorrei fare una cosa molto bella per la conclusione dell’anno, ci sarà anche il provveditore Mazzarri all’evento. Voglio che riesca bene. Per questo ho mandato a chiamare lei, non vorrei le solite cose, ma un lavoro con i bambini di quinta che si richiami ai classici, che sia forte, impegnativo, che trasmetta grandi ideali “ si era alzato in piedi con la sua piccola rotonda statura e agitava le mani come davanti ad una platea sorridendo davanti a sé. “ cosa mi propone maestra ? “ “ Direttore veramente nella mia scuola ci sono i topi che entrano ed escono dalla classe dove stanno gli alunni di quinta, abbiamo tappato i buchi 3 volte con il papà di Antonio, ma non so da dove entrano. I bambini arrivano stabilmente in ritardo perché vengono a piedi e devono salire sulla montagna e non studiano mai niente. Cosa dovrei rappresentare mi scusi a fine anno ? siamo a Perdifumo mica a Napoli? “. “ Maestra cara non sia disfattista, il timore sfibra l’anima, mentre le prove estreme ci rendono migliori. Non accetto scuse. Mi faccia sapere entro domani cosa reciteranno i nostri giovanotti di Perdifumo “.

La maestra si mise in macchina, la sua cinquecento rossa, si sciolse i capelli e li scosse liberando nodi e pensieri. Nel tratto impervio di strada carica di curve e di sterrati che da Castellabate saliva su a Perdifumo pensò, parlò da sola mentre teneva saldamente le due mani sul volante per non uscire fuori strada. Pensò, ricordò, sorrise.

Il giorno dopo dalla pensione Regina Sofia dove alloggiava con una altra collega che aveva avuto l’incarico come maestra nel paese a fianco al suo chiamò il direttore: “ Ho deciso, i ragazzi reciteranno alcuni passi dell’Odissea”. Il direttore restò un po’ in silenzio e poi disse “ Maestra per curiosità perché l’Odissea? “ “ Perché è come la vita. C’è sempre qualcuno che è in viaggio e non riesce a tornare a casa “. Altri secondi di silenzio. “ Molto bene maestra Benedetta “.

Cap.4

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Il lungomare Yalta è battuto dal vento del maestrale. Sono i giorni dell’inverno dei posti di mare, sono quelli che hanno sempre in serbo un po’ d’estate. Quando batte forte il vento, l’acqua del mare si increspa, diventa di un colore incerto tra il verde bottiglia e il blu di Prussia spruzzato di bianco. Dopo un esodo durato due anni sul litorale domizio che aveva strappato alle proprie case oltre 25 mila puteolani, la piccola cittadina di mare riprendeva a pulsare. La gente per strada non aveva più paura di scosse di terremoto, ovunque i piccoli proprietari con i pochi risparmi si sistemavano le case, ammaccate, ferite, lesionate ma in piedi, nonostante tutto. “ abbiamo resistito a tutto, agli sciacalli, a due anni in case requisite che puzzavano di muffa, senza lavoro, alle scosse giorno e notte, ogni minuto, ma siamo tornati a casa” E’ cosi che aveva detto con un tono di orgoglio stanco la tabaccaia della stazione. Si era stretta nel cardigan marrone , si era rassettata i capelli. Aveva pronunciato quelle parole cosi, ad una perfetta estranea, una vecchia signora in pelliccia di astrakan e capelli grigi tirati su con uno chignon che guardava da più di mezz’ora il mare, non le case, non il via vai insolito di auto, non le persone, ma il mare. Era bella, di quella bellezza triste che gli anni non riescono a rendere opaca, ma neppure ad addolcire.

Io sono nata qui, in quel palazzo lì rosa e grigio.ci stavo con mia madre e mio padre. Mi pareva assai meno bello allora. La felicità è sempre un po’ miope. “ aveva detto la signora. La tabaccaia l’aveva osservata bene, aveva un viso giovane, nonostante i capelli grigi, come se avesse smesso di tingerli pur potendolo fare ancora. Aveva della bellissime scarpe viola di vernice col tacco alto.

E perché siete tornata qui ? “. “ Perché a volte i giri non riescono a finire “

Si sedettero, l’una accanto all’altra, con la vicinanza che solo due estranei possono avere. “ In realtà cercavo mia madre. Ho sempre pensato che sarebbe tornata, che l’avrei rivista, prima o poi, ma mi sa che non accadrà. Ho iniziato a provare tristezza. Forse è la maturità che toglie vigore alla rabbia e la trasforma in un male opaco e persistente. E la memoria prende il colore della tristezza “.

Ma dopo tanto tempo che le importa sapere dov’è e perche? “

“ In realtà il perché non mi interessa, non mi è mai interessato.”-.

“ E’ che senza di lei mi pare di non riuscire a chiudere il giro largo, mi sembra di stare sempre in viaggio e sono un po’ stanca di viaggiare”

La tabaccaia prese la mano della donna con la pelliccia di Astrakan, Stettero un po’ cosi in silenzio. “ Venga le offro il caffè, almeno a questo giro si ferma un po’ “.

Cap. 5

Libera si era portata davvero poche cose con sé in una piccola sacca di tela azzurra che aveva cucito lei stessa.

Aveva camminato per ore, treno, poi autobus, poi a piedi, doveva arrivare lì. Per pochi istanti aveva pensato a Benedetta, le sarebbero mancate le sigarette fumate di nascosto? I racconti dell’ Odissea davanti alla finestra spalancata sul mare? E quel mare le sarebbe mancato? Se ne sarebbe andata per sempre? Quanto pesa per sempre nel petto di una donna? Le sembrò francamente di non avere granchè da lasciarsi alle spalle. A suo marito dedicò un pensiero di un secondo, si può dividere il letto per anni con uno sconosciuto, in fondo. Basta non parlare mai. Ciò su cui ragionò a lungo è che le avrebbe dato fastidio se suo marito, sua figlia avessero potuto pensare che le se ne fosse andata appresso ad un uomo. Suo marito di sicuro l’avrebbe pensato, quello con cui stava prima di sposare lui? Quello con cui l’aveva tradito?  Vabbè che poi l’aveva anche perdonata e lei si era messa a fare la brava per dimostrare che era meritevole  di fiducia, che era diventata proprio come voleva lui. Ma poi ,,mentre stirava le tende si era sorpresa a pensare che non gliene importava niente : di lui, del perdono, della figlia, di niente.

Una madre è obbligata ad amare i suoi figli? Se avesse studiato avrebbe saputo rispondere a queste domande ?   Benedetta sapeva leggere, leggere davvero, dentro le pagine dei libri e dentro gli occhi delle persone. Questo sarebbe bastato a farne una donna felice. Poteva stare tranquilla.

Si sedette su un sasso di roccia porosa sulla strada assolata, si tolse le scarpe e si accarezzò i piedi gonfi e sudati, li mise a terra e trovò sollievo. Si attaccò i capelli con un nastro nero e pensò ad Ulisse che poi torna a casa.

Pensò che la figlia le avesse sempre mentito.

Ulisse a casa non era mai tornato.

Cap. 6

La pizzeria dieci lune è la migliore di Napoli, bisogna prenotare giorni prima. Paolo Bellizzi aveva trovato posto all’ultimo momento, era arrivato in ritardo a prelevare la famiglia a casa per festeggiare il compleanno della moglie, aveva parcheggiato in seconda fila. “ Dottò lasciate le chiavi non vi preoccupate, la guardo io la macchina, vedete sto qua seduto “ aveva detto il parcheggiatore. A terra, vicino alla sedia da cui osservava il traffico di clienti c’era una cassetta della frutta. Paolo si avvicinò “ ma che sono? Libri? Vi piace leggere? “ “ Eh si dottò è mia mamma che mi ha dato sta passione, compro libri sulle bancarelle dell’usato, leggo di tutto, saggi, romanzi, tutto, così passa veloce la serata”. “ Vieni qua” fece segno alla moglie, “guarda sta cosa ti piacerà il signore legge mentre guarda le auto “. Dall’auto scese una donna con una bambina in braccio su un tacco dieci che la rendeva instabile sulle gambe. Raccolse la borsa che le stava scivolando, si tirò su la bambina sul fianco, si avvicinò : “ e cosa leggete di bello ora ‘?. Il parcheggiatore prese dalla sedia un libro con una copertina fatta con carta di giornale, glielo mostrò, lo aprì e prese a leggere “Rimettimi sulla terra, e preferirei essere uno schiavo nella casa di qualche uomo senza terra… che re di tutti questi uomini che con la vita hanno chiuso “. La donna sorrise. “ Li conosco questi versi, è l’ Odissea” tese la mano, accarezzò la copertina del libro, indugiò con la mano, come una carezza che non sa finire. Paolo le prese la bimba dalle braccia e disse “ Vieni Libera che facciamo tardi “.

Matilde Iaccarino

Nasce a Pozzuoli (Na), è giornalista, saggista e scrittrice. Insegna letteratura al liceo. Appassionata di letteratura ed è impegnata da molti anni nella ricerca storica.

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